Ossorio interviene sulla mozione che concerne varie iniziative per favorire gli interventi produttivi e l’occupazione nel quadro del Mezzogiorno Meridione: necessità di una strategia complessiva Testo della dichiarazione di voto dell’on. Ossorio sulla mozione unitaria concernente iniziative per favorire gli interventi produttivi e l’occupazione nel Mezzogiorno, 28 marzo 2012. La mozione reca le firme di D’Antoni, Pd; Fitto, Pdl; Occhiuto, Udc; Briguglio, Fli; Ossorio, Pri. Signor Presidente, Signor Ministro, Fabrizio Barca, onorevoli colleghi, i Repubblicani-Azionisti ritengono molto importante che la Camera dei deputati ricollochi nell’agenda dei suoi lavori, con la discussione sulle mozioni presentate dai gruppi una particolare attenzione alle condizioni anemiche per non dire disperate in cui versa il declino pericoloso (anche sotto l’aspetto della tenuta sociale) dell’occupazione nelle Regioni meridionali del nostro Paese. Auspichiamo che alla retorica del meridionalismo si sovrapponga la volontà di ripensare l’intera politica economica nazionale in funzione dello sviluppo del Sud. Il gruppo dei Repubblicani-Azionisti ritiene che questa condizione sia imprescindibile per riavviare il meccanismo della crescita economica del Paese. Non si tratta, ovviamente, Ministro Barca, di reclamare un nuovo intervento straordinario e i Repubblicani-Azionisti non lo faranno, sarebbe antistorico e fuori luogo, bensì di ricollocare al centro delle scelte di politica economica l’interesse nazionale della diminuzione del divario di crescita fra le aree forti del Paese e quelle deboli. E’ bene dirlo forte e a chiare lettere: è interesse, soprattutto, delle aree più sviluppate del sistema economico italiano il decollo delle economie troppo deboli del Sud. Le regioni del Nord sarebbero le prime a giovarsi del rilancio dell’area mediterranea d’Italia sia in termini di un rafforzamento delle preesistenze industriali, che pure esistono nel Mezzogiorno, sia in termini di minori costi di produzione. La crisi approdata al Nord, dopo aver iniziato a imperversare al Sud deve ricondurre tutti alla consapevolezza che solo una capacità di sistema potrà responsabilmente dare risposte credibili all’intera economia nazionale. L’illusoria versione di un’area forte, frenata dalla parte debole del sistema è ingiustificata quanto a contenuti effettivi. Noi Repubblicani condividiamo questa analisi del professore Adriano Giannola Presidente dello SVIMEZ. Consideriamo che gli effetti delle cinque manovre avviate tra maggio 2010 e dicembre 2011, con l’obiettivo di azzerare il deficit nel 2013, dovrebbero scaricarsi proprio nel 2012. Le previsioni SVIMEZ sull’andamento dell’economia nel 2012 sono di un calo del Prodotto Interno lordo nel Centro-Nord del -1,3 per cento e nel Mezzogiorno del 2 per cento, con un calo degli investimenti del 5 per cento nelle aree forti del Paese e dell’8 per cento nel Sud. Di conseguenza il Prodotto Interno Lordo del Nord nel periodo 2008-2012 sarà del -5,4 per cento e del Sud del -8 per cento. E’ inevitabile che al calo delle unità di lavoro totale del -0,7 del Centro Nord si contrappone un calo del -1,6 per cento nel Sud. Strade opposte I dati e le previsioni per il futuro sembrano confermare che Nord e Sud del Paese viaggiano su strade opposte; la forbice del divario, dunque, pare destinata ad aumentare. Il ricorso alla cassa integrazione, soprattutto straordinaria, è proseguito come già nel 2009: al Sud, nel 2010, le ore erogate nel settore manifatturiero in presenza di crisi strutturali sono state +146 per cento (113 milioni di ore); nel resto del Paese +163 per cento (544 milioni di ore). Da segnalare che tra il 2008 e il 2010 il manifatturiero meridionale ha perso quasi 130 mila posti di lavoro, il 15 per cento del totale, che si aggiungono ai 490 mila del Centro-Nord. Siamo, dunque, di fronte al rischio concreto di una profonda deindustrializzazione di tutta l’area del meridione d’Italia. Un’eventualità questa che avrebbe effetti catastrofici sull’economia di tutto il Paese. Come abbiamo scritto, è necessario focalizzare quei processi di riforma che sarebbero necessari per adeguare il sistema produttivo del paese, e in particolare del meridione, alle nuove condizioni competitive determinate dalla globalizzazione e dall’adesione all’Euro. Appare plausibile ritenere che il processo di declino del meridione d’Italia potrà essere interrotto solo in presenza dello sviluppo di un’adeguata domanda privata e pubblica, capace nel breve periodo di attenuare gli effetti della crisi attuale e, nel medio periodo, di favorire una ripresa duratura della produzione che avrebbe come conseguenza la creazione di posizioni lavorative stabili e efficienti. Il pericolo è che, mancando tale stimolo, la perdita di tessuto produttivo diventi permanente, aggravando i divari territoriali già marcati nel Paese; in questo contesto, è necessario e non più differibile mettere in campo una politica industriale finalizzata a sviluppare e ramificare sul territorio una matrice tecnologica e produttiva, in particolare in settori strategici capace di dimostrarsi autonoma e di rigenerarsi sul territorio, al fine di creare e sostenere nuova occupazione. Bisogna in questo senso far superare la congenita tendenza al "nanismo" delle piccole imprese del Mezzogiorno. Irrobustire la piattaforma logistica che vede il Sud naturalmente punto d’approdo nel Mediterraneo delle correnti mercantili da e verso oriente. Intervenire con decisione per la riqualificazione ambientale di vaste aree geografiche del Sud, a ridosso, soprattutto, di quegli agglomerati urbani densamente popolate. Crisi Ritornando ai dati sulla disoccupazione, dagli andamenti trimestrali (con riferimento agli ultimi dieci anni) emerge che la crisi è iniziata prima al Sud. Gli occupati al Sud sono quindi tornati ai livelli di dieci anni fa. In Campania lavora meno del 40 per cento della popolazione in età da lavoro, in Calabria è il 42,4 per cento in Sicilia il 42,6 per cento; caso unico in Europa, l’Italia sul fronte migratorio continua a presentarsi come un Paese spaccato in due: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla. Dal 2000 al 2009 ben 583 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Nel solo 2009 sono partiti dal Mezzogiorno in direzione del Centro-Nord circa 109 mila abitanti. Riguardo alla provenienza, in testa risulta la Campania, con una partenza di 33 mila 800 abitanti, circa il 30 per cento dell’emigrazione interna; segue la Sicilia con 23 mila 700 partenze; la Puglia con 19 mila 600; la Calabria con 14 mila 200. In direzione opposta, dal Nord al Sud, si sono mosse, invece, solo 67 mila persone. In Italia lavora meno di una donna su due, ma al Sud la percentuale crolla al 30 per cento. Nel 2010 il tasso di occupazione del Nord è risultato (dati Istat) più elevato di oltre venti punti rispetto a quello dell’area meridionale (43,9 per cento). Nel caso delle donne si passa dal 56,1 per cento del Nord, al 30,5 per cento del Mezzogiorno; Siamo, dunque, di fronte ad un quadro preoccupante: per il forte restringimento della base occupazionale; per la crescita del tasso di disoccupazione più che doppia in confronto al Nord; per l’allargamento dei fenomeni di scoraggiamento ed esasperate difficoltà di inclusione dei giovani nel mercato del lavoro; per la bassa partecipazione delle donne alla vita lavorativa, dovuta anche ai più forti ostacoli alla conciliazione tra l’impegno lavorativo e quello da dedicare alla famiglia e alla quotidianità. Queste condizioni impongono una politica economica e sociale a favore del Mezzogiorno, ma non solo nell’interesse del meridione. In uno scenario così critico emergono comunque parziali elementi positivi. Come ad esempio quello rappresentato dal ruolo della Cooperazione, peraltro riconosciuto dalla Costituzione. Si tratta di una realtà associativa solida, di un modello organizzativo di coesione e di espressione genuina del territorio, con forti elementi di dinamicità economica e occupazionale, che può rappresentare una grande opportunità di crescita per l’intera area meridionale. Il Sud d’Italia sconta l’impossibilità di competere sul piano della "fiscalità generale" con le altre aree depresse dell’Unione europea, soprattutto dell’Est, che offrono alle imprese condizioni fiscali durature e decisamente più favorevoli. L’opposizione dell’Unione europea all’adozione di una fiscalità differenziata all’interno di uno stesso Paese, in un regime di moneta unica nel quale Stati e regioni sono posti sullo stesso piano, oggi non ha più motivo d’essere. Appare opportuno, dunque, riflettere sulla possibilità di insistere in questa direzione pensando a interventi che della fiscalità di vantaggio ripetano i pregi (la semplicità e immediatezza del beneficio, la differenziazione rispetto alle aree sviluppate, la vigenza pluriennale anche se limitata nel tempo), ma che abbiano caratteristiche tecniche nuove e diverse per vecchie e nuove imprese. In questo senso appare ineludibile la necessità che le Amministrazioni pubbliche, nel loro complesso, rappresentino un punto di riferimento certo ed affidabile; che siano, cioè, capaci di far fronte ai propri impegni finanziari. Purtroppo, allo stato, così non è perché versano in uno stato di profonda illiquidità e di forte indebitamento. Bisogna intervenire sull’oggettiva impossibilità delle Regioni e degli Enti locali del Sud ad onorare le erogazioni derivanti da impegni assunti per forniture di beni e servizi. Se in Lombardia, in Veneto o in Emilia Romagna le aziende che hanno un rapporto contrattuale con la Pubblica Amministrazione riescono a dare continuità alle proprie attività, in Campania, in Calabria o in Sicilia le aziende che hanno un rapporto con la Pubblica Amministrazione sono costrette a chiudere le proprie attività per mancanza di liquidità o addirittura per l’insolvenza degli Enti locali. In Lombardia, infatti, gli Enti locali erogano i loro impegni derivanti da forniture di beni e servizi mediamente con 120 giorni di ritardo; in Campania pagano i loro fornitori con 365 giorni di ritardo; in Calabria si raggiungono addirittura i 600 giorni di ritardo. Ottenere una commessa per un’impresa privata in queste condizioni può rappresentare una vera e propria iattura. Patto di stabilità Fino a poco tempo fa le Regioni potevano utilizzare i Fondi di riequilibrio, o comunque potevano ricorrere all’indebitamento. Oggi nessuna delle due ipotesi è più percorribile. Inoltre, è necessario tenere conto del Patto di stabilità, in virtù del quale alcune regioni italiane, pur avendo risorse disponibili, non possono utilizzarle, mentre altre non hanno praticamente denaro in cassa; recentemente è stata avanzata l’ipotesi che le risorse finanziarie inutilizzate da alcune Regioni possano essere rimesse in circolo con l’istituzione di un Fondo di garanzia di cui il Governo nazionale sia garante per i pagamenti delle Autonomie locali. Non si tratta di utilizzare le risorse di determinate Regioni per sostenerne altre. La gran parte, infatti, delle risorse accantonate e inutilizzate sono rappresentate da trasferimenti dello Stato, mentre solo una piccola parte di queste provengono dalla finanza locale. Anche alla luce di questa osservazione l’opportunità avanzata merita di essere vagliata con la giusta attenzione. Potrebbe rivelarsi una risorsa aggiuntiva per risolvere il problema cronico dei ritardi dei pagamenti delle Pubbliche amministrazioni, incoraggiando, così, in una certa misura gli investimenti privati nelle aree depresse del nostro Paese, ovviamente, non solo in quelle meridionali. In questo scenario proprio un ritrovato slancio della Pubblica Amministrazione, a tutti i suoi livelli, può rappresentare uno strumento attraverso il quale mettere in campo interventi concreti per i necessari interventi infrastrutturali di cui il meridione ha assolutamente bisogno. Si pensi ad esempio alla necessità impellente di portare a termine i lavori sul tratto autostradale della Salerno-Reggio Calabria. Urbanizzazione Infine, un aspetto su cui è necessario porre l’attenzione è quello dell’urbanizzazione del meridione. Dal confronto con la realtà settentrionale emerge che mentre il sistema urbano del Nord è evoluto, nelle sue componenti principali e nelle grandi aree del Nord-Est, la realtà urbana meridionale è rimasta invece nello stadio di "sub urbanizzazione". Secondo un noto economista americano: "Per essere vincenti nella competitività urbana, le città devono essere in grado d’attrarre lavoratori creativi che portano con sé investimenti e crescita economica. Devono essere quindi capaci di offrire loro dei luoghi dotati di quartieri nei quali l’interazione quotidiana avvenga in modo fluido". Nelle aree metropolitane maggiormente interessate ad una iper densità abitativa siamo molto lontani da questo obiettivo. La loro riqualificazione deve essere un punto centrale in una moderna politica di decollo economico e sociale del Mezzogiorno. La città, in una società contemporanea, competitiva ed inclusiva, non può che essere il centro nevralgico della spinta produttiva. E’ intorno alla città che si deve creare quel tessuto articolato di insediamenti che rappresenta la piattaforma necessaria per lo sviluppo e la produzione di una determinata area. E’ necessario investire sullo sviluppo della rete urbana del Mezzogiorno, una direzione questa indicata più volte dall’illustre meridionalista Francesco Compagna. Una necessità che si sarebbe dovuta affrontare e superare da decenni e che, invece, continua ad essere ancora una questione irrisolta, un’incredibile emergenza. In particolare, appare necessario intervenire per sostenere le Aree Metropolitane densamente popolate come quella di Napoli, facendone il centro nevralgico per lo sviluppo e promozione di una concreta politica economica del meridione. Integrare Questa necessità si inquadra nell’ottica degli obiettivi della Commissione europea che già nel 1999, in merito al processo di integrazione del continente, specificava che uno degli obiettivi principali era la "creazione di zone dinamiche di integrazione distribuite equamente sul territorio europeo e costituite da reti di regioni metropolitane di facile accesso internazionale e da città e zone rurali ad esse collegate". Recentemente la Commissione europea ha deciso di modificare alcune delle regole dei Fondi strutturali destinati agli investimenti nelle aree depresse. L’Italia potrà abbassare la quota di cofinanziamento nazionale dal 50 al 25 per cento: si rendono, così, disponibili ben otto miliardi di risorse europee, un’opportunità importante che non possiamo sprecare. Il Governo per il gruppo dei Repubblicani dovrebbe impegnarsi: a delineare un piano organico di interventi che abbia come obiettivo strategico, in chiave nazionale, lo sviluppo del Sud: unica condizione questa per avviare una crescita dell’intero Paese. Solo così può di nuovo aumentare il Prodotto Interno Lordo e di conseguenza riequilibrare il debito pubblico; ad investire una quota rilevante delle risorse rese disponibili dalla Commissione Europea attraverso l’abbassamento della quota di cofinanziamento, ad investimenti mirati al rafforzamento delle reti urbane con particolare interesse al potenziamento delle aree metropolitane del mezzogiorno; a sviluppare interventi organici, anche sostenuti da una sostenibile fiscalità di vantaggio, finalizzati al potenziamento in particolare dell’iniziativa privata affinché si ramifichi sul territorio, superando la congenita tendenza al nanismo della dimensione imprenditoriale del meridione; ad irrobustire la piattaforma logistica che vede il Sud d’Italia quale naturale punto d’approdo nel Mediterraneo delle correnti mercantili da e verso oriente; ad intervenire con decisione per la riqualificazione ambientale di vaste aree geografiche del Sud, a ridosso, soprattutto, di quegli agglomerati urbani densamente popolati; a sviluppare un piano di interventi infrastrutturali, affinché il sud d’Italia non resti di fatto separato dal resto del Paese e dell’Europa. Turismo, commercio, sviluppo, occupazione, non sono possibili senza l’esistenza di trasporti e vie di comunicazioni efficienti; sviluppare interventi organici finalizzati a valorizzare il ruolo e l’incidenza del modello cooperativo, facendone uno dei possibili pilastri su cui costruire una strategia politico-economica complessiva per il rilancio del meridione. D’Antoni (Pd), Fitto (Pdl), Occhiuto (Udc), Briguglio (Fli), Ossorio (Pri) |